L’Italia è stata richiamata dalla Commissione dell’Unione europea in merito alle concezioni balneari, dunque per un mancato adeguamento alla direttiva Bolkenstein.
Ma facciamo un passo indietro. Che cos’è la direttiva Bolkenstein?
Prende il nome dall’ex Commissario per la Concorrenza ed il Mercato interno, Frits Bolkenstein, ed è stata recepita dal governo italiano nel 2010. La direttiva ha il fine di garantire il rispetto della libera circolazione dei servizi e l’abbattimento delle barriere tra i vari paesi. Questo permette che qualsiasi cittadino appartenete all’Unione europea possa proporre all’interno di questa la propria attività. L’intenzione di Bolkenstein era quelle di semplificare le procedure amministrative e burocratiche per esercitare temporaneamente un’attività all’interno di un Paese dell’UE.
Si sottolinea il carattere temporaneo che prevede la direttiva poiché la libera circolazione dei servizi riguarda coloro che si spostano da un paese all’altro per fornire un servizio limitatamente nel tempo.
Che posizione ha assunto l’Italia?
Da diversi anni l’UE ha richiesto che l’Italia mettesse a gara la gestione degli stabilimenti balneari in nome delle norme sulla libera concorrenza. L’UE ritiene che le autorizzazioni per beni, limitati a causa della scarsità delle risorse naturali, in questo caso specifico si tratta delle spiagge, devono essere rilasciate per un tempo contingentato e mediante una procedura di selezione che sia aperta e pubblica.
Tuttavia, l’Italia ha continuato a procedere con il rinnovo automatico delle concessioni balneari. Nel 2016 la Corte di giustizia dell’UE aveva stabilito che la pratica di prorogare automaticamente le autorizzazioni non era compatibile con le sue norme, ma i vari governi italiani che da lì in poi si sono susseguiti hanno continuato con le proroghe di rinnovo automatico, l’ultima è stata deliberata dal Governo Meloni e varrà fino al 31 dicembre 2024.
A fronte della decisione dell’Italia di proseguire sulla sua strada senza badare a quanto l’UE richiedesse già nel 2020 la Commissione europea aveva avviato la procedura d’infrazione contro l’Italia con l’invio di una lettera di messa in mora.
Lo scorso ottobre il governo italiano aveva elaborato, grazie al lavoro di un tavolo tecnico istituito appositamente, la mappatura delle spiagge italiane. Da quanto emerso le aree del demanio marittimo occupate dai balneari equivalgono al 33% delle aree disponibili.
Pertanto, questo dimostrerebbe che la risorsa spiaggia non è “scarsa” e dunque il governo attuale insieme alle associazioni balneari hanno convenuto che non si dovrebbe applicare l’obbligo di messa a gara che è previsto dalle norme dell’UE.
Quali sono gli ultimi sviluppi?
Il 16 novembre La Commissione europea ha inviato un parere motivato all’Italia che ha contestato il lavoro fatto dal tavolo tecnico, dichiarando che il calcolo è stato fatto considerando non solo le aree di spiaggia disponibili ma l’intera area demaniale, dunque anche porti, aree industriali, aree marine protette, parchi naturali e zone di costa rocciose. Inoltre, evidenzia come non siano state prese in considerazione le situazioni specifiche delle regioni e dei singoli comuni. Pertanto, è stata avviata una procedura d’infrazione nei confronti del paese.
Che cosa accadrà ora?
Il governo italiano ha sessanta giorni per rispondere e adottare le disposizioni necessarie per conformarsi a quanto pretende l’UE.
Tuttavia, da quanto è emerso finora dalle dichiarazioni degli esponenti di maggioranza, il governo è deciso ad andare avanti per la propria strada seguendo la strategia della non scarsità della risorsa e prevedendo le gare solo per le spiagge non ancora oggetto di concessione.